Namibia prima in Africa per libertà di stampa

La classifica di Reporters Senza Frontiere

 

Tre maggio: giornata mondiale della libertà di stampa. Per ricordarci che non sempre quello che veicolano i più comuni canali d'informazione corrisponde alla realtà dei fatti - anzi - e ciò che ci propinano i mass media spesso è tutt'altro che verità. L'informazione, il sapere cosa accade, dovrebbe essere un diritto inalienabile di ciascun individuo. La realtà dei fatti dovrebbe essere accessibile a chiunque. Wikipedia: nel 1993 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite proclamò la giornata mondiale della libertà di stampa per "ricordare ai governi il loro dovere di sostenere e far rispettare la libertà di parola sancita dall'Articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 e celebrare l'anniversario della Dichiarazione di Windhoek, un documento sull'importanza dei principi in difesa  della libertà di stampa, del pluralismo e dell'indipendenza dei media promulgato dai giornalisti africani a Windhoek nel 1991". Tuttavia in molti luoghi tale diritto è negato, in modo più o meno esplicito, talvolta con coercizione, violenza e soprusi; altre volte in modo astuto e manipolatorio, senza darlo a vedere, riempiendo l'ambiente di informazioni "distraenti", alimentando l'ignoranza, promuovendo certi atteggiamenti mentali e certi comportamenti piuttosto che altri, abbondando in alcuni argomenti piuttosto che in altri (un esempio potrebbe essere la prima pagina de' L'Arena di oggi), stimolando interessi "innocenti" ed "economicamente positivi" che possano occupare masse di cittadini docilmente e produttivamente incanalati nel turismo e nell'iper parentalità, nei centri commerciali e nelle attività sportive, nella rincorsa all'eterna salute e giovinezza e nelle spa e parchi a tema... In alcuni stati ci vanno ancora giù pesante: torture corporali e psicologiche, persone che scompaiono nel nulla, incarcerazioni senza processo, massacro di gruppi o famiglie intere... A Madrid, in fila per visitare il palazzo reale, una coda lunga e lenta, la cattedrale alle nostre spalle non proietta ombra, già alle dieci di mattina il sole picchia. Alla destra della fila, a una decina di metri dall'entrata del museo, un gruppo di strada suona musica dolce e malinconica con tanto di viola e violoncello, la custodia della viola aperta a raccogliere offerte. Ad ogni offerta un tizio con tratti orientali in piedi di fianco ai musicisti sorride e annuisce con il capo. Del suo corpo non si vede molto altro: piedi e stinchi, mani e braccia con i muscoli tesi, sorregge un pannello che lo ricopre. Nel pannello scritte in ideogrammi e foto. Si vedono qua e là falce e martello su sfondo rosso, la bandiera cinese. Immagini di individui in giacca e cravatta; più sotto, prigioni e prigionieri, uomini e donne mezzi nudi con il busto e le braccia coperti da ferite che sembrano frustate, esseri macilenti e piegati e contorti... Il tipo regge il ligneo fardello, non dice mai una parola, sorride ad ogni turista che esce dalla coda per gettare un obolo ai suonatori, suda... quante ore resterà così? Mi chiedo. E cosa dicono di preciso quegli ideogrammi? Le foto mi turbano, guardo verso la reggia, "cazzo, sono in vacanza!" - per un momento vorrei non aver visto...

Reporters Senza Frontiere (www.rsf.org) stilla ogni anno una classifica relativa alla libertà di stampa. Su 180 nazioni, la Cina, il colosso che tanto peso ha sull'economia globale, sta al centosettantasettesimo posto (177) - ossia, uno dei paesi più importanti del pianeta per l'assetto mondiale odierno (assetto succube dell'economia), ha una "libertà" di stampa chimerica. Peggio della Cina solo l'Eritrea, la Corea del Nord e il Turkmenistan.

Il podio della classifica spetta ai paesi scandinavi: Norvegia, Finlandia e Svezia; quindi Olanda e Danimarca... Francia e Gran Bretagna sono più in basso di quanto non si sarebbe portati a credere (trentaduesimo e trentatreesimo posto); meglio Portogallo (12), Germania (13), Islanda (14) e Irlanda (15). L'Italia, davvero triste, si piazza nientemeno che al quarantatreesimo posto, solo cinque gradini più avanti degli Stati Uniti, ben più indietro di paesi come Giamaica (8), Costarica (10), Samoa (22), Lettonia (24)...

Sintomatico: nella prima pagina de' L'Arena, il quotidiano di Verona, capitatomi per caso sotto gli occhi, non c'è menzione del fatto che oggi è la giornata mondiale della libertà di stampa. Al centro della pagina una bella foto calcistica di un giocatore in calzoncini sul campo verde nel vivo di una partita dell'Hellas o forse del Chievo, capeggiata da una notizia "strappa lacrime/acchiappa audience" relativa alla morte di una coppia di anziani; un editoriale sul ritorno dell'educazione civica a scuola (argomento invero appena accennato - e piuttosto mi chiedo chi era stato l'"illuminato" ministro dell'istruzione che l'aveva soppressa!) e l'abrogazione di regole di fatto non più in atto da anni nel settore pedagogico odierno (occidentale) - forse voleva essere un po' di amara ironia su una realtà pedagogica che, nell'ansia di attenzioni e cure verso i bimbi, rischia di diventare fin troppo "materna"? (nell'editoriale le scuole elementari vengono esplicitamente definite "materne", come se la materna si allungasse inglobando in sé anche la primaria - come se i bimbi restassero piccini... e infatti da un decennio o due la giovinezza si è dilatata, si lascia la casa dei genitori e si mette su famiglia più tardi rispetto ad un tempo). Comunque della libertà di stampa neanche un accenno, nell'intera pagina.

L'informazione, la conoscenza, la consapevolezza, lo smantellamento dei pregiudizi, sono di una natura tale che, là dove scarseggiano o mancano, restano celati agli esseri umani, i quali in tal modo sono privati di qualcosa di fondamentale senza che possano rendersene conto. Se manca l'informazione, è implicito che manchi anche la consapevolezza della mancanza d'informazione. Un individuo, nel giudicare erroneamente una persona o una situazione perché vittima di un pregiudizio, non si rende minimamente conto del proprio pregiudizio. Tante cose, non solo non si conoscono, ma non si sa nemmeno di non conoscerle - e pochi praticano l'umile e gravido monito di Socrate "so di non sapere".  L'ignoranza comporta spesso l'oblio di sé stessa e l'inesistenza di tutto ciò che copre. Tante cose, finché per un qualche motivo particolare non c'imbattiamo in esse, sono per noi inesistenti, e la stessa ignoranza che abbiamo di esse non viene percepita. Chi vive in un paese privo di libertà di stampa può essere tenuto all'oscuro di molte cose, e tra le altre della stessa assenza di libertà di stampa.

Nella lista di Reporters Senza Frontiere, il primo paese africano è la Namibia, in egregia posizione tra Samoa e Lettonia, al ventitreesimo posto e ben venti gradini più in alto dell'Italia. Prima del Ghana (27) e ben prima del Sudafrica (31). La maggior parte dei paesi africani si trova un tantino oltre. Per nominarne qualcuno: Senegal (49), Tunisia (72), Kenia (100), Nigeria (120), Congo (154), Libia (162), Egitto (163). Per quanto riguarda i "vicini" dell'Africa Australe, il Botswana è subito dopo l'Italia, in quarantaquattresima posizione; poi Malawi (68), Angola (109), Zambia (119), Zimbabwe (127).

Nell'era delle comunicazioni e della prolificante diffusione di dati, ci sembra a volte di essere bombardati di informazioni, al punto che le stesse rischiano di perdersi in un mare indistinto di nozioni dalle quali riusciamo a trattenere solo ciò che ci tocca da vicino. In tale quadro la libertà di stampa potrebbe forse non essere considerata nella sua giusta importanza. Perché essa non è solo news. Notizie trasparenti e aggiornate permettono alla persona di conoscere la situazione in cui vive e in cui vivono i suoi cari; un'appropriata informazione è alla base della partecipazione del singolo alla comunità, è alla base della possibilità del cittadino di partecipare alla vita sociale e politica del luogo in cui vive e di modificare quest'ultimo in suo favore, la possibilità del singolo di affrancarsi, crescere, apprendere e far rispettare i propri diritti. La mancanza di libertà di stampa e di informazione rende l'essere umano non solo ignorante, ma anche impotente, schiavo di meccanismi oscuri (e già solo per questo terroristici).

Alla Namibia non può che fare onore, un risultato così alto in una classifica che per l'indice relativo al benessere dei cittadini è tanto significativa (una vocina maligna: andate a dirlo a quelli che vivono nelle baracche di lamiera di Katatura senza elettricità né acqua corrente né un sacco di altre cose). La Namibia ha canali televisivi e radiofonici e diverse testate giornalistiche. Wikipedia presenta un elenco di ben sedici pubblicazioni, alcune giornaliere altre settimanali. Testimoniano tra l'altro della realtà multietnica del paese: la maggior parte in lingua inglese (la lingua ufficiale), una in tedesco, una in afrikaans, una sia in inglese che in afrikaans, una in oshiwambo, idioma degli Ovambo, l'etnia namibiana più numerosa, un'altra sia in inglese che in oshiwambo, un'altra ancora in inglese e in silozi, idioma diffuso nell'area della Caprivi Strip. Alcuni giornali tra i più popolari sono The Namibian, Namibian Sun, Namib Times, Windhoek Observer e New Era. Quest'ultimo è l'unico "statale", non prodotto da privati.

Un numero tale di newspaper è quasi sorprendente in una nazione che conta circa un abitante (poco più) per chilometro quadrato. Dove le notizie scarseggiano, perché in fondo il paese è pacifico, le etnie convivono con flemmatica mitezza, la criminalità in proporzione è assai meno che in Italia, l'economia è satellitare al Sudafrica, le fabbriche poche, le strade poche, Windhoek e Rundu sono gli unici due centri urbani che possano definirsi "città" per numero di abitanti e infrastrutture. Il numero di giornali diventa ancora più sorprendente a fronte del fatto che l'analfabetismo è ancora molto esteso. Molte persone (soprattutto di colore) non sanno leggere e scrivere; solo alcuni lo sanno fare in maniera alquanto elementare e imprecisa; pochi hanno potuto frequentare istituti a pagamento. Le scuole pubbliche sono spesso carenti di mezzi e di insegnanti qualificati. Qualche anno fa un articolo del The Namibian stigmatizzava la preparazione dei docenti statali: molti di loro non sanno nemmeno leggere e scrivere correttamente in inglese - come possono insegnarlo agli alunni?! Fuori dai centri urbani e dai paesi, dove si estendono centinaia e centinaia di chilometri di bush, a volte di deserto e pietraie, e par che non possano viverci se non gli animali, mentre invece ci sono minuscoli villaggi di capanne, fattorie lontane da tutto, manciate di capre sorvegliate da ragazzini vestiti di stracci - c'è anche una scuola ogni tanto. I bambini dei minuscoli villaggi si aggruppano all'alba e ci vanno a piedi, in alcuni casi camminando per ore, contenti - letteralmente - di andare a scuola - spesso una stanza con il tetto di lamiera e il pavimento di terra battuta, niente banchi, niente cattedra, lavagna, zaini, diari, penne, colori...

Se la Namibia vuole formare cittadini namibiani capaci di affrancare la nazione dal dominio economico del Sudafrica e degli investitori stranieri, dovrebbe investire nell'istruzione pubblica primaria e superiore... Al momento però sembra più interessata a buttar giù cemento - strade, complessi abitativi, centri commerciali ecc. - l'economia è più importante, no? In particolare un'economia a breve termine, che porti introiti ai politici e agli imprenditori di adesso. Il buon lavoro dell'indipendenza (1990) e del primo amato presidente Sam Nujoma sta andando a farsi benedire, sembrerebbe perdersi nelle maglie di una corruzione tra le alte sfere imparata pari pari da noi. La percezione è che i politici namibiani siano troppo numerosi, e per la maggiore sovrappeso - i giovani sono rari.

Nella brevissima spiegazione di Reporters Senza Frontiere si legge come la costituzione namibiana, redatta nel 1990, garantisca la libertà di stampa e protegga i giornalisti. Manca tuttavia un'esplicita legge in merito - il che costituisce un ostacolo al libero lavoro dei giornalisti. "Those who dare to criticize the authorities are often the target of government threats or insult", chi si azzarda a criticare le autorità diventa spesso il bersaglio di intimidazioni o insulti del governo. Come scritto, hanno imparato da noi - si vuole eliminare l'opposizione? Imbastiamo un bel scandalo ad hoc, che denigri il rappresentante dell'opposizione, che intimidisca; non importa se la manovra è palesemente faziosa e interessata, il tam tam massmediatico basterà a sommergere la faziosità, a mesmerizzare fino a far dimenticare il senso critico... Tornando alla Namibia e al rapporto di RSF, questo in chiusura spiega come i media schierati con i governanti stiano ottenendo una cospicua fetta delle entrate ricavate dalle pubblicità, rafforzando in questa maniera la loro attività, a discapito dei canali d'informazione privati e indipendenti.

A fronte di prospettive poco rosee, vorrei ribadire la primaria importanza dell'educazione e dell'istruzione - cui va a braccetto la libertà di parola e di stampa - e quest'ultima, oggi come non mai, si traduce in libertà decisionale e di azione. Un bene estremamente prezioso, uno di quelli che non ci si rende conto se non quando ti viene a mancare. E che non significa far quel che si vuole... Chiudo allora con le parole di una bella canzone di Giorgio Gaber, canzone che smaschera quanto facile sia cadere nel pregiudizio e che suggerisce il principio vitale umano per eccellenza:

"La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione".

 

Marzo-aprile 2019